Intervista pubblicata sul Magazine Farmamese – Ottobre 2017
Quanto vale, ma anche quanto costa oggi comprarne una? Lo abbiamo chiesto a Matteo Oberti, responsabile di FARMA-TRADE, un’azienda che vanta una ventennale esperienza nel campo delle compravendite. Cambiano le valutazioni, ma deve mutare anche il metodo per effettuarle con correttezza.
Nei momenti di grande cambiamentio, come l’attuale con l’arrivo del capitale e delle catene, s’intensifica una domanda, peraltro sempre attuale: ma vale la pena di comprare una farmacia? Oppure, quanto vale la mia? Ultimamente, infatti, il valore è molto cambiato e ormai non si fa più riferimento al solo fatturato, am entrano in gioco altri elementi. Ce li spiega un nostro collaboratore ben esperto, Matteo Oberti, amministratore di FARMA-TRADE.
Qual’è la valutazione della farmacia oggi, con l’entrata in vigore della Legge Concorrenza?
E’ presto per dirlo, anche se subito abbiamo notato un incremento dei contatti e delle richieste di acquisto. E’ vero altresì che sono aumentate anche le farmacie in vendita, forse per timore di quello che succederà, forse per paura di un futuro incerto o forse, anche, per la preoccupazione di non essere in grado di affrontare i nuovi competitor.
Fatto sta che, per la legge della domanda e dell’offerta, se dovesse aumentare la domanda senza dubbio i prezzi dovrebbero salire leggermente, ma se, come abbiamo già notato, insieme aumentasse anche l’offerta di nuove farmacie in vendita, allora i prezzi dovrebbero stabilizzarsi su quelli attuali.
Ma qual’è la valutazione della farmacia oggi? Esistono differenze tra nord e sud oppure tra urbane e rurali?
Dopo l’entrata in vigore del “Cresci Italia” di Monti, alla fine del 2011 e inizio 2012, in conseguenza della possibile apertura di migliaia di nuove farmacie i prezzi si sono congelati. Prima si viaggiava al doppio – e qualcosa oltre – del fatturato annuo. Dopo 12/18 mesi di compravendite bloccate si sono iniziati a intravedere i primi “nuovi” prezzi, accettati sia dal venditore sia dall’acquirente, intorno a 1.5 volte il fatturato.
Da quel momento, nei mesi e negli anni successivi, i prezzi sono andati via via personalizzandosi e adeguandosi a ogni singola realtà. Posso tranquillamente sostenere che adesso sono più “corretti” rispetto a prima, perché si analizzano le caratteristiche intrinseche della farmacia come: gli indici di bilancio (se ci sono forti indebitamenti se ne tiene ovviamente conto), tipicità (pregi e difetti dell’essere urbana o rurale) e, infine, localizzazione (pregi e difetti della latitudine, della “location” e del contesto competitivo).
La forchetta, quindi è ormai compresa tra lo 0.9 e 1.6 volte il giro d’affari, con ampie differenze e ampie motivazioni legate alla sostenibilità.
Quindi, la valutazione della farmacia oggi è basata sempre come moltiplicatore del fatturato, peraltro, come si è sempre fatto?
Purtroppo si, ma le cose stanno cambiando: molto lentamente, ma stanno cambiando. Il parametro del moltiplicatore del fatturato poteva andare benissimo in un contesto “protetto” e tranquillo come erano gli anni 80 e i successivi anni 90. Dal 2005 con il Decreto Storace si è visto che la farmacia iniziava a essere considerata in maniera diversa.
Diversa come?
Mi esprimo in altro modo: avete notato che il nostro interlocutore di riferimento è passato dal ministero della Sanità (poi dicastero della Salute) a quello delle Sviluppo Economico? La politica per prima ha incominciato a considerare la farmacia come se non facesse più parte della catena del SSN, bensì della rete economica del paese.
Poi, negli anni successivi, Bersani, Monti e adesso Calenda hanno fatto il resto. Con la crisi, poi, alcune farmacie sono entrate in sofferenza finanziaria (le banche hanno incominciato a considerarle come capitale a rischio), per non parlare di quelle finite in concordato e di alcune anche fallite. Continuare a valutare una farmacia sempre con questo parametro è ormai troppo semplice e rischioso. Il mio consiglio, pertanto, è di considerare il prezzo richiesto come moltiplicatore dell’utile a bilancio.
Faccio un esempio: fatturato 1.0 mln di euro, utile netto 100.000 euro, prezzo richiesto 1.2 mln; quindi il prezzo richiesto è pari a 12 volte l’utile netto. Se, invece, con lo stesso parametro di fatturato avessimo un utile intorno ai 150.000 euro, allora il prezzo richiesto sarebbe 8 volte l’utile. Ecco, secondo me, è proprio questa la valutazione più corretta, partendo, quindi dall’utile e non dal giro d’affari: la farmacia italiana adesso dovrebbe avere un prezzo non inferiore a 8 volte l’utile.
È vero, allora, che il farmacista deve diventare anche imprenditore, se vuole continuare a fare il titolare?
Ahimè, c’è sempre bisogno di specificarlo, a maggior ragione oggi, con l’arrivo delle società di capitali? Lo darei quasi per scontato: se un farmacista ha intenzione di diventare titolare – o anche direttore/gestore di una società – deve necessariamente tenersi informato sullo stato di salute della propria azienda, deve sviluppare la curiosità di comprendere i meccanismi del bilancio, le regole fiscali, la gestione degli ammortamenti e degli interessi.
Il commercialista avrà sempre un ruolo centrale nella gestione contabile di una farmacia – che sia una piccola ditta individuale o una grande società di capitale – ma un conto è delegare a lui il 100% e un conto è considerarlo un consulente, con il quale confrontarsi periodicamente.
Torniamo all’approvazione del DDL. Come sarà il futuro scenario della compravendita di farmacie da adesso in poi e quali saranno i protagonisti?
Bella domanda! Posso soltanto fare una mia analisi personale. Ritengo che, nel breve, la cosa più rapida possa essere la “permuta” dei crediti (che le aziende fornitrici vantano nei confronti delle farmacie) con quote di proprietà.
Anche se tecnicamente non è così immediato ed è molto più facile a dirsi che a farsi. Successivamente, con la creazione di catene – che comunque si può ipotizzare non arriveranno a più del 30/35% del totale delle farmacie – si assisterà alla nascita di agglomerati di farmacie indipendenti, strutturate e aggressive capaci di tener testa alle catene (ipotesi o speranza la mia?). In ogni modo, con la creazione delle catene cambieranno gli interlocutori della compravendita; adesso i venditori e gli acquirenti, ovviamente, sono solamente farmacisti, mentre in futuro no.
Potenzialmente, ci troveremo di fronte a società di capitali, fondi di investimento, merchant bank e chissà cos’altro. Per quanto riguarda gli intermediari, invece, abbiamo già da subito assistito alla “nascita” di nuovi “colleghi” improvvisati, particolarmente aggressi.
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