Chi vende vuole il massimo, ma chi compra vuole spendere il minimo. Al di là dei diversi desideri, l’azienda farmacia ha un valore intrinseco, che va individuato seguendo precisi metodi. Eccone cinque, che man mano analizzeremo.
di Matteo Oberti
“Davanti a noi stanno cose migliori di quelle che ci siamo lasciati alle spalle”. Recitando questa frase di Clive Staples Lewis,cerco di risollevare un po’ il morale di una simpatica farmacista titolare, intenzionata a cedere la sua farmacia. Perché risollevare il morale? Perché la dottoressa in questione sono anni che voleva vendere, però, prima per un motivo (problemi personali indipendenti dalla sua volontà: le fu negata, dai familiari, l’autorizzazione a vendere), poi per un altro (divenuta titolare di ditta individuale, non poteva subito cedere la farmacia), finora non le era stato possibile cedere l’azienda e così oggi si lamentava di aver perso il treno dei prezzi astronomici di qualche anno fa.
Ma non c’è verso, la dottoressa non molla: “Lei la fa facile, ma a me dispiace aver perso tutti quei soldi. Non riusciamo a trovare qualcuno che me li dia ancora adesso, magari un fondo di investimento cinese!?!”.
“Dottoressa” provo a spiegarle “non sono soltanto cambiati i prezzi e le valutazioni, ma anche le metodologie. Analizziamo seriamente la sua farmacia” le dico, aprendo il bilancio completo dell’ultimo esercizio e confrontandolo con quello “mitizzato” del passato.
Partiamo dallo stato patrimoniale. “Nel 2011 la vostra farmacia era una ditta individuale intestata a suo padre e il prezzo che fu proposto all’epoca era per l’acquisto di azienda”. Ma poi, vedendola distratta, le chiedo: “Dottoressa, conosce la differenza tra cessione di azienda e di quote, vero?”. “Certo, per chi mi ha preso? Vado a tutti i corsi di marketing, so benissimo qual è la differenza. E so che adesso, con questa mania di cedere le quote, i prezzi si sono ulteriormente abbassati…”. Trattengo a fatica un sorriso, ma poi riannodo il filo del discorso, cercando di riportarla sui binari della valutazione. “Dicevamo, l’offerta che voi riceveste sette anni orsono fu alta anche per l’epoca, ma era figlia di un finanziamento a 18 anni a tasso agevolato, in concomitanza di un ammortamento totale dell’investimento per pari periodo”. Poi proseguo: “Però vedo, da bilancio, che l’esposizione bancaria e coi fornitori, pagati a 180 giorni all’epoca della gestione di suo padre, erano enormi e, non avendo ammortamenti residui, tra tasse sulla plusvalenza (totale) e al netto del rimborso di tutti i debiti a bilancio, alla fine “vi sareste messi in tasca” non più di un terzo”. “Cosa?”. “I numeri non mentono: tra aliquota massima di tassazione e rimborso dei debiti la cifra netta è questa, euro più, euro meno!”. “Adesso invece?”. Per risponderle chiudo il bilancio del padre, quello vecchio, e apro il nuovo, notando subito un aspetto importante, un format diverso. “Avete forse cambiato commercialista?”. “Si, dottore: col vecchio, storico consulente dell’associazione, mio marito e io abbiamo litigato e ce ne siamo andati. Non voleva spiegarci nulla, diceva che con mio padre faceva così e le cose sono sempre andate bene. Ma mio marito è un dirigente affermato e non ama delegare alla cieca, non so se mi sono spiegata…”. Cambio discorso e riporto la faccenda sull’analisi del loro nuovo bilancio. “Come mai l’ammortamento a bilancio è ancora così considerevole?”. “Per mettere a posto l’eredità di papà coi miei fratelli (nessuno farmacista), il vecchio commercialista me la fece comprare a queste condizioni: prezzo pari a più del doppio, finanziato al 100%, e così con i soldi ha messo a posto i miei fratelli, che adesso hanno liquidità e io, invece, una farmacia che vale la metà e un sacco di debiti. Questo è stato il secondo motivo dei litigi fra mio marito e il vecchio consulente”. Resto stupito. ”Caspita, dottoressa, che peccato, immagino che questo alla fine si sia ripercosso anche sui rapporti tra voi fratelli… Capisco la complicazione della gestione di farmacia tra eredi laureati e no, però è sempre consigliabile molta prudenza nella valutazione tra parenti, proprio per questi motivi, più familiari che economici”.
Da inguaribile ottimista, cerco una chiave di lettura positiva. “Ipotizziamo uno scenario di vendita nuovo: moltiplicatore dell’EBITDA”. Mi interrompe, sgranando gli occhi: non sa cosa sia. “E’ un acronimo inglese” le spiego “per definire il valore di un’azienda moltiplicando l’utile di una azienda prima degli interessi, tasse e ammortamenti (quindi al netto)”. Vedendola ancora un po’ interdetta, la invito a un nuovo appuntamento alla presenza anche del marito dirigente. “Dottoressa, ci vediamo la settimana prossima qui in farmacia in pausa pranzo, così è chiusa e senza dipendenti, anche con suo marito”. Con il bilancio in mano, parlerò loro dei 5 nostri nuovi metodi di valutazione di una farmacia:
E così concludo: “Vedrà, dottoressa, le assicuro, resterà stupita dal risultato a cui porterà l’analisi globale dei 5 metodi”.
Al mese prossimo…
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